1954 | La Germania Ovest beffa l'Ungheria

di Adalberto Bortolotti *

Nell'intervallo che separò la Coppa Rimet del 1950 dalla successiva edizione in Svizzera (il solo paese europeo uscito indenne dalle rovine della guerra e l'unico in grado di offrire le garanzie economiche richieste, dato che le finanze dei vincitori erano state prosciugate non meno di quelle dei vinti), era accaduto qualcosa che avrebbe lasciato il segno nella storia del calcio. Il 25 novembre 1953, nello stadio imperiale di Wembley, davanti a 100.000 inglesi ammutoliti, era caduto in frantumi l'home record, il primato d'imbattibilità della nazionale inglese, che, dalla nascita del calcio moderno, non era mai stata sconfitta, sul proprio terreno, da un avversario continentale [vedi]. Artefice della straordinaria impresa, corredata da un punteggio inequivocabile (6-3), era stata l'Ungheria, assemblata da Gustav Sebes [vedi] sin dal primo dopoguerra e giunta a piena maturazione agli albori degli anni Cinquanta. La squadra entrò nella leggenda anche per una sensazionale serie positiva: rimase infatti imbattuta per oltre quattro anni, dal 14 maggio 1950 al 4 luglio 1954, nel corso dei quali giocò 31 partite, vincendone 28, pareggiandone 3, segnando 142 gol e subendone 32, pur avendo incontrato, spesso in trasferta, le più forti nazionali del mondo. Nel periodo magico rientrava l'oro olimpico conquistato a Helsinki nel 1952. La Grande Ungheria, che molti critici ritengono tuttora la più forte e completa formazione mai apparsa su un campo di calcio, fu chiamata in patria l'Aranycsapat, la "squadra d'oro" [vedi]. La data della sua prima sconfitta coincise proprio con la finalissima della Coppa Rimet, perduta contro la Germania Occidentale a Berna.

17 giugno 1954, Stade Olympique de la Pontaise, Lausanne
L'inizio della fugace apparizione azzurra
Quattro, almeno, sono i motivi per i quali il torneo del 1954 è degno di essere ricordato: 1) il suo eccezionale livello tecnico, forse insuperato, tradottosi in una stupefacente media-gol di 5,38 per partita e illuminato dalla presenza di fuoriclasse epocali: gli ungheresi Ferenc Puskas, Nandor Hidegkuti, Joszef Boszyk, Sandor Kocsis, i brasiliani Didí, Julinho, Dialma e Nilton Santos, gli uruguayani Juan Alberto Schiaffino e José Santamaria, lo jugoslavo Vladimir Beara, il francese Raymond Kopa, l'austriaco Ernst Ocwirk, l'inglese Stanley Matthews, l'italiano Giampiero Boniperti, i tedeschi Helmut Rahn e Fritz Walter; 2) la sua formula a gironi 'aperti' (ogni squadra incontrava solo due delle tre compagne di gruppo), che rappresentò un capolavoro di miopia tecnica e antisportività, vera istigazione alla combine; 3) la presenza, per la prima volta in un mondiale di calcio, della televisione, che segnò il definitivo decollo della manifestazione e la sua diffusione universale, facendone conoscere a tutti le coinvolgenti emozioni; 4) la clamorosa sorpresa determinatasi nella finalissima e verosimilmente dovuta anche ‒ ma questo lo si sospettò soltanto dopo ‒ al sofisticato uso della chimica, come additivo alle risorse tecniche e atletiche. Se il mancato successo del Brasile, nel 1950, aveva mortificato tutto un popolo, la sconfitta della Grande Ungheria a Berna fu una colossale ingiustizia sportiva e un affronto al calcio.

Trentacinque adesioni rappresentarono un successo, anche se l'Argentina confermò il suo forfait e l'URSS non ritenne ancora giunto il momento di presentarsi sulla massima ribalta. Erano invece ricomparse Germania e Austria. Dal 1948 era caduto l'assurdo veto della FIFA che imponeva ai paesi membri di evitare i contatti calcistici con gli sconfitti della guerra, ma solo alla fine degli anni Cinquanta la Germania era riuscita a mandare in campo la propria nazionale, a Stoccarda, contro la neutrale Svizzera. Nessuno poteva pensare che, in meno di quattro anni, il calcio tedesco sarebbe riemerso così prepotentemente da conquistare addirittura il titolo mondiale.

30 giugno 1954, Stade Olympique de la Pontaise, Lausanne
Il gol decisivo di Sandor Kocsis all'Uruguay per l'accesso alla finale 
La formula dei gironi aperti fece una sola vittima illustre, l'Italia. Guidati da Lajos Czeizler, gli azzurri si fecero prima battere di misura dagli svizzeri padroni di casa, poi travolsero il quotato Belgio, infine (nella bella) cedettero ancora agli elvetici, ma in maniera nettissima. Le sole formazioni in grado di tenere testa all'Ungheria apparivano Brasile e Uruguay, reduci dalla finalissima di quattro anni prima e forse ancora più forti di allora. L'Ungheria dovette affrontarle entrambe, nei quarti e in semifinale, venendone a capo, con l'identico punteggio di 4-2, al termine di partite bellissime, ma estremamente dispendiose. L'abile Germania Ovest di Sepp Herberger era andata avanti con maggiore agio, prevalendo sulla Jugoslavia nei quarti e sull'Austria in semifinale. Nonostante ciò, la finale appariva una formalità. Nei gironi preliminari, Ungheria e Germania Ovest si erano già affrontate, ed era stato un massacro: 8-3. Gli ungheresi si sentivano la vittoria in tasca, sottovalutando il fatto che in quell'occasione i tedeschi avevano fatto spazio ai rincalzi. Puskas, infortunato, pretese di giocare ugualmente: era il capitano, voleva essere lui ad alzare al cielo la Coppa. Si giocò sotto una pioggia battente e dopo otto minuti l'Ungheria conduceva già per 2-0. Ma aveva anche finito l'energia, mentre la Germania Ovest correva sempre più forte. Raggiunto il pareggio all'intervallo, i tedeschi aspettarono sino a sei minuti dalla fine per sferrare, con il potentissimo Rahn, il colpo finale. Puskas si era trascinato per tutta la ripresa come un fantasma. L'orgoglio lo sospinse a un'ultima reazione. Segnò il 3-3, annullato per fuorigioco.

Quando, qualche tempo dopo, quasi tutti i giocatori di quella Germania furono colpiti dall'itterizia, si rafforzò il sospetto che l'energia superiore che li aveva trascinati nell'impresa fosse dovuta all'uso di farmaci. La Grande Ungheria rimase una regina senza corona, uno dei tanti paradossi del calcio.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)