1962 | Di nuovo il Brasile

di Adalberto Bortolotti *

Rispetto alle precedenti spettacolari edizioni, il Campionato del Mondo del 1962 in Cile segnò una brusca inversione di tendenza. Vi ebbero un ruolo determinante la violenza e la brutalità in campo e si fecero pesantemente sentire i condizionamenti esterni. Il livello tecnico fu il più basso sino allora toccato in un torneo mondiale. Un Brasile logoro e appannato, privo del suo atleta più valido, arrugginito nei suoi uomini cardine, con una nuova impostazione tattica, tale da consentire l'impiego di veterani in declino atletico, riuscì tuttavia a replicare il trionfo di quattro anni prima per la totale assenza di avversari realmente competitivi. Il terzo posto del Cile, fattosi avanti fra soprusi e prevaricazioni, ben al di là del suo intrinseco valore tecnico, simboleggiò la caduta di tono e di stile della Coppa Rimet dopo l'esemplare edizione svedese del 1958, che era stata un autentico inno alla sportività.

2 giugno 1962, Estadio Nacional de Chile
La battaglia di Santiago
La designazione del Cile quale paese ospitante al congresso della FIFA tenuto a Lisbona nel 1956, aveva colto tutti di sorpresa, malgrado fosse scontata la sede sudamericana dopo due consecutivi Campionati in Europa. Il Cile non godeva di una florida economia ed era esposto a forti tensioni politiche con il partito conservatore ancora al potere, ma minacciato da un lato dai riformisti di Eduardo Frei e dall'altro dalle prime organizzazioni della sinistra proletaria. Proprio per controllare una situazione interna così esplosiva, il governo aveva investito senza risparmio in un avvenimento che potesse concentrare, per quasi un mese, gli occhi del mondo sul Cile e nel contempo suscitare un'ondata di nazionalismo capace di superare le divisioni interne. La vigilia fu tormentata. Nel 1960 un violento terremoto provocò tali danni in tutto il paese che la FIFA prese seriamente in esame l'ipotesi di una candidatura alternativa e solo le garanzie offerte da Carlos Dittborn Pinto, un dirigente di origine tedesca responsabile dell'organizzazione, valsero al Cile la conferma. Dittborn, con lo slogan "proprio perché non abbiamo più niente, riusciremo a rifare tutto", persuase i burocrati calcistici e si impegnò a tal punto in una corsa contro il tempo da subirne uno stress micidiale che, a un mese esatto dall'inizio del torneo, gli provocò un infarto. Aveva appena 38 anni e tutto il Cile pianse la sua scomparsa. Nonostante l'entusiasmo di Dittborn e l'impegno profuso nell'impresa, le gravi carenze di alcune strutture non furono colmabili. Alcune sedi, come Rancagua, centro minerario di 50.000 abitanti, e Arica, in una zona desertica ai confini del Perù, lontana 2000 km dalla capitale, risultarono inadeguate.

Le 57 iscrizioni costituirono il nuovo record. Nelle qualificazioni si persero due protagoniste del 1958: la Svezia, che si era classificata seconda, e la Francia, arrivata terza. L'Italia accolse con favore il sorteggio che l'aveva inserita in un girone con Germania Ovest, Cile e Svizzera: avrebbero passato il turno le prime due classificate e solo i tedeschi apparivano temibili. Affidata alla guida tecnica di Paolo Mazza, il presidente della Spal, l'Italia cominciò contro la Germania Ovest e si adeguò volentieri al pareggio. L'impresa maggiore sembrava compiuta.

Il Cile però aveva puntato troppo su quel Mondiale, per lasciarlo al primo turno. Il pubblico affollava gli stadi soltanto quando giocava la squadra di casa. La FIFA dovette tenerne conto al momento di designare gli arbitri. Fu un arbitro inglese, Ken Aston, a decidere le sorti di Cile-Italia e gli inglesi, dalla morte di Rimet, detenevano saldamente il potere calcistico internazionale. Ma l'Italia scontò ancor più gravemente quello che può definirsi un 'autogol': due giornalisti italiani, nelle loro corrispondenze dal Cile, avevano messo in rilievo le misere condizioni di sottosviluppo in cui si trovava il paese, la corruzione e la prostituzione dilaganti, il contrasto fra la ricchezza esagerata di pochi e la povertà inaccettabile di molti. Quelle inchieste innescarono reazioni furibonde contro l'Italia che attirò su di sé antipatie e risentimenti. Aston, che aveva già diretto nella partita inaugurale il Cile, vittorioso contro la Svizzera, fu designato, dunque, anche per Cile-Italia. Quando Lionel Sanchez causò un grave infortunio all'oriundo argentino Humberto Maschio con un diretto al volto, l'arbitro non prese provvedimenti, ma espulse Mario David e Giorgio Ferrini che avevano tentato di reagire. Ridotta in nove uomini, l'Italia resistette all'attacco cileno sino a un quarto d'ora dalla fine, poi cedette e subì due gol. Riprese la via di casa (dopo l'inutile successo sulla Svizzera, con doppietta dell'esordiente Giacomo Bulgarelli), mentre il Cile proseguiva la sua marcia tra le generali manifestazioni di gioia.

30 maggio 1962, Estadio Sausalito, Viña del Mar
Garrincha stende e aggira un difensore messicano sotto gli occhi di Pelé
Il Brasile aveva cominciato battendo a fatica il Messico, con gol di Zagalo e Pelé, ma poi aveva pareggiato 0-0 con la forte Cecoslovacchia; in quella partita aveva perduto Pelé, vittima di un serio infortunio che lo escluse dal prosieguo del Mondiale. Contro la Spagna, guidata da Helenio Herrera, i brasiliani furono a un passo dal tracollo e vennero salvati dall'arbitro Sergio Bustamante, cileno. Da quel momento, la marcia dei campioni del mondo, che al posto di Pelé avevano inserito il giovane Amarildo, diventò più semplice. Contro l'Inghilterra, nei quarti, il gioco del fuoriclasse Manuel Garrincha bastò per vincere i maestri, ma poi la semifinale con il Cile (che nei quarti aveva eliminato l'URSS, colpendo Lev Jascin, il famoso portiere sovietico, con un forte calcio in testa) risultò una vera battaglia, con espulsioni di Jada e Garrincha, centrato, quest'ultimo, uscendo dal campo, da una sassata al capo che necessitò di quattro punti di sutura. Il Brasile si impose 4-2, grazie alla fermezza dell'arbitro peruviano Arturo Yamasaki, di origini giapponesi. In una finalissima povera di pubblico contro la solida Cecoslovacchia, il Brasile sfruttò la giornata negativa del portiere ceco, Viliam Schroif, di solito il migliore della squadra, e vinse 3-1. Alla finale partecipò anche Garrincha che, squalificato in seguito all'espulsione nella partita precedente, fu riammesso, in un clima di autentico giallo internazionale, grazie all'intervento del governo brasiliano; l'ennesima irregolarità di un Mondiale tutto da dimenticare.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)