1966 | L'Inghilterra vince con un gol fantasma

di Adalberto Bortolotti *

La scelta dell'Inghilterra come sede dell'ottava Coppa Rimet costituì una delle rare decisioni spontanee e unanimi nella storia della FIFA, così spesso dominata dai compromessi. La decisione era stata ufficializzata nel congresso del 1962, a Santiago, alla vigilia dei Mondiali cileni. L'anno successivo, 1963, la mitica FA, la Football Association inglese, avrebbe compiuto i suoi cento anni di vita e di attività. La scelta voleva dunque essere un ritorno alle origini, un doveroso omaggio alle radici del calcio moderno, al paese dove era nato un movimento poi diffusosi a macchia d'olio e ormai avviato a dimensioni universali.

11 luglio 1966, Empire Stadium, Wembley
L'emozione distraente dei fanciulli durante la cerimonia di inaugurazione
Le numerose sconfitte subite avevano convinto gli inglesi che il loro prestigio calcistico andava consolidato con qualche risultato concreto. Il Mondiale di casa era l'occasione del riscatto. Così al ritorno dal Cile, dove in verità la nazionale inglese non si era comportata peggio di altre volte, il commissario tecnico Walter Winterbottom, sopravvissuto a tutte le disfatte, fu costretto ad abbandonare il suo incarico. Al suo posto fu chiamato un ex giocatore dai modi bruschi e dal carattere indocile, Alf Ramsey, che era stato il terzino destro nella memorabile débacle con gli USA al Mondiale del 1950 in Brasile. Ramsey non conosceva la diplomazia né le buone maniere, ma aveva le idee chiare. Dopo l'investitura, convocò una conferenza stampa e dichiarò: "L'Inghilterra vincerà la prossima Coppa del Mondo e io ho tre anni e mezzo per portare a termine l'opera. Per cui, d'ora in avanti, lasciatemi lavorare senza farmi perdere del tempo". L'Inghilterra scoprì così la tattica, prima tanto disprezzata, ripudiando il 'sistema' puro, il WM, che proprio gli inglesi avevano inventato e imposto al mondo. Ramsey adottò il modulo 4-4-2, inviso alla critica e all'opinione pubblica, in quanto prevedeva l'abolizione delle ali, un vanto del calcio britannico: due 'torri' centrali in attacco, un centrocampo folto, marcature asfissianti e spesso intimidatorie, in linea con il calcio fisico che stava ovunque prendendo il sopravvento. Con il tempo e con i risultati, Ramsey riuscì a fare accettare quell'innovazione. Il titolo mondiale, conquistato in linea con le promesse, gli valse la gloria e il titolo di baronetto, magari non proprio congeniale all'aplomb del personaggio.

28 luglio 1966, Empire Stadium, Wembley
Bestiario sacro, e nero: la Pantera e il Ragno
Anche l'Italia aveva affrontato la sua trasformazione. La nazionale era stata consegnata a Edmondo Fabbri, un tecnico capace, pur se talvolta ombroso. Con Fabbri era nato il 'clan Italia', un modo per sottrarre la nazionale all'influenza condizionante dei club. I risultati erano stati eccellenti e la spedizione in Inghilterra era accompagnata da grandi speranze. Il favorito d'obbligo restava però il Brasile, reduce da due titoli consecutivi. Ma era un Brasile logoro, i vecchi atleti erano stanchi e i giovani talenti non erano ancora pronti per prenderne il posto. Inoltre il nuovo tipo di calcio, che privilegiava la forza alla tecnica, non si confaceva ad atleti così estrosi.

Nel mondo del calcio emergevano forze nuove, ma la FIFA era restia ad accoglierle. Ancora una volta un solo posto, fra le 16 finaliste, era destinato ad Africa, Asia e Oceania insieme. L'Africa si ribellò ritirandosi in blocco. L'Asia, anziché accodarsi, fu ben lieta di restare padrona del campo e in Inghilterra arrivò la Corea del Nord, che riuscì a battere l'Australia, rappresentante oceanica, con un eloquente 9-2. Nessuno, in Italia, immaginò che quella matricola dell'Estremo Oriente avrebbe incrociato in modo così determinante la rotta della nazionale azzurra.

Sul piano delle partecipazioni, si preparava un'edizione storica. Argentina e Uruguay tornavano sulla scena, sicché tutti i paesi che avevano già conquistato una Coppa del Mondo erano presenti. Uruguay, Brasile e Italia, che avevano vinto il titolo già due volte, concorrevano alla conquista definitiva della Coppa Rimet. L'11 luglio 1966 lo stadio imperiale di Wembley tenne a battesimo l'ottavo Campionato del Mondo con un autentico galà: Inghilterra-Uruguay, gli inventori del calcio contro i primi campioni del mondo. Fu una partita molto tattica e poco spettacolare, chiusa da uno 0-0 che tutti parvero gradire. Il calcolo si rivelò esatto, inglesi e uruguayani si qualificarono a spese di Francia e Messico. Nelle tre partite del girone, l'Inghilterra di Ramsey non subì neppure un gol.

Fu un Mondiale di grandi personaggi: l'inglese Bobby Charlton, i tedeschi Helmut Haller e Franz Beckenbauer, il portoghese Eusebio, il sovietico Lev Jashin. Su tutti avrebbe dovuto primeggiare Pelé, che però ebbe appena il tempo di segnare un gol, contro la Bulgaria, e subito dopo venne aggredito dal suo marcatore, Dobromir Zechev, che con un calcio gli causò un serio problema al ginocchio. Senza Pelé, il Brasile venne battuto dall'Ungheria e poi eliminato dal Portogallo. La prima favorita tornava subito a casa.

L'Italia non fece una figura migliore. Esordì battendo il Cile, una rivincita a quattro anni di distanza, e poi perse di misura con l'URSS. Avrebbe comunque passato il turno se solo avesse pareggiato con la sconosciuta Corea, ma quella sembrò quasi una partita stregata: Bulgarelli, mandato in campo malgrado un infortunio non riassorbito, fu presto costretto a uscire lasciando l'Italia in dieci, la Corea andò in gol con Pak Doo Ik, e gli azzurri non riuscirono a rimontare. Più che un'eliminazione, fu una vergogna nazionale. Il termine 'Corea' assunse da allora in poi il significato di una mortificante disfatta. Al ritorno in Italia, la comitiva, che pure aveva cambiato programma per sottrarsi alle contestazioni, dovette subire all'aeroporto di Genova un umiliante lancio di pomodori. Con questo grave insuccesso si concluse la gestione del commissario tecnico Fabbri.

30 luglio 1966, Empire Stadium, Wembley
I colori, indimenticabili
Nei quarti di finale, l'Inghilterra riuscì a battere l'Argentina in una partita molto violenta, mentre la Germania Ovest travolse l'Uruguay: il Sud America tornava a casa e l'Europa era padrona del campo. La Corea fu spazzata via dal Portogallo, con i gol di Eusebio, 'tiratore scelto' del torneo. In semifinale, l'Inghilterra trovò notevole resistenza nel Portogallo, anche se l'accanita marcatura di Nobby Stiles eliminò dalla partita Eusebio. Bobby Charlton segnò due gol, Eusebio dovette limitarsi a realizzare su rigore: fu il primo gol subito da Gordon Banks, il portiere inglese, dopo 542 minuti di imbattibilità. La Germania Ovest, in un pesante scontro fisico, si impose sull'URSS.

Il 30 luglio 1966 la regina Elisabetta si presentò nel palco reale di Wembley, per assistere al trionfo annunciato della nazionale di casa. Ma non fu facile: un gol del tedesco Wolfgang Weber all'ultimo minuto di gioco gelò l'esultanza degli inglesi, siglando il 2-2 che costrinse le squadre ai tempi supplementari. Su servizio di Alan Ball, l'attaccante inglese Geoff Hurst tirò violentemente a rete, il pallone picchiò sotto la traversa, rimbalzò sul terreno (probabilmente senza aver superato la linea) e tornò in campo. L'arbitro Gottfried Dienst consultò il guardalinee, Tofik Bakhramov. Dopo un breve conciliabolo, il gol fu concesso. Sullo slancio, gli inglesi segnarono ancora, ma la loro vittoria rimase legata a quel 'gol fantasma'. Fu in ogni caso una splendida finale, che riscattò in parte un Mondiale non sempre all'altezza delle attese, inquinato da troppi episodi sospetti e dominato da un calcio atletico che a volte era sfociato nel gioco violento.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)