1970 | Il Brasile fa terno

di Adalberto Bortolotti *

Città del Messico non era ancora la metropoli più inquinata del mondo, quando, il 31 maggio 1970, decollò il primo Mondiale in altura. Il fascino degli altipiani, l'allegria e le contraddizioni di un paese sempre in bilico fra l'oleografia e i fermenti sociali, la musica assordante dei mariachis: difficile pensare a un Campionato del Mondo più pazzo e più bello.

Nel congresso di Tokyo del 1964 era stato deciso finalmente di ripristinare il principio dell'equità distributiva. L'Europa, sino a quel momento, aveva interpretato pro domo sua il criterio dell'alternanza continentale con l'America, con il beneplacito della FIFA. Il Messico prevalse sull'Argentina per una considerazione di ordine pratico: nel 1968 Città del Messico avrebbe ospitato i Giochi Olimpici e lo sforzo organizzativo effettuato per quella competizione con la creazione di nuovi impianti e strutture poteva essere sfruttato anche per la rassegna universale del pallone. Il criterio di abbinare Olimpiadi e Mondiali sarebbe stato ripetuto con Monaco e la Germania Ovest, all'edizione successiva.

11 giugno 1970, Estadio "Luis Dosal", Toluca
Il raid di Gigi Riva nell'area rossa di Israele
L'Africa, con la protesta e il boicottaggio del Mondiale inglese del 1966, aveva ottenuto un primo risultato: al congresso di Casablanca del 1968, il Comitato organizzatore della Coppa del Mondo stabilì che, fra le 16 finaliste di Messico 1970, l'Asia e l'Africa avrebbero avuto un posto ciascuna; avrebbero avuto un posto l'America centro-settentrionale (oltre al Messico, qualificato di diritto), tre il Sud America, otto l'Europa; l'Inghilterra naturalmente avrebbe partecipato come campione in carica. Settanta iscrizioni premiarono questa attesa apertura. Fu anche introdotta una norma di fondamentale importanza: la possibilità di effettuare nell'arco della partita due sostituzioni, senza distinzione di ruolo. Su queste premesse cominciò un Mondiale che fragorosamente rovesciò l'ultimo verdetto. Brasile e Italia, le due maggiori deluse del 1966, che in Inghilterra non avevano neppure superato il primo turno, si ritrovarono a giocare la finalissima.

L'Italia, dopo l'insuccesso con la Corea, era stata affidata a Ferruccio Valcareggi, che raccolse subito risultati eccellenti, a cominciare dal titolo europeo del 1968, la prima conquista azzurra nel dopoguerra. La squadra giocava un calcio essenziale, basato su un ferrea difesa e su un micidiale contropiede. Il 'genio' di Gianni Rivera e 'il senso del gol' di Gigi Riva erano le sue armi più efficaci. Superò agevolmente le qualificazioni, che erano state fatali per molte nazionali europee di primo piano: il Portogallo, terzo nel 1966, la Spagna, la Jugoslavia, l'Ungheria, l'Olanda (che pure era già fortissima a livello di club), la Francia. Dal Sud America arrivarono ancora una volta Brasile e Uruguay, ma non l'Argentina, eliminata dall'emergente Perù, che aveva come tecnico il brasiliano Didí, campione nel 1958 e nel 1962. Un suo ex compagno di squadra e di trionfi, Mario Zagalo, guidava invece la nazionale brasiliana, nelle cui file il trentenne Pelé inseguiva il suo terzo titolo personale e l'apoteosi di una carriera unica.

14 giugno 1970, Estadio Nou Camp, León
La rivincita: Gerd Müller "mata" l'Inghilterra
Il Marocco rappresentava l'Africa, mentre le squadre asiatiche e oceaniche erano state battute da Israele, inserito a forza nel loro gruppo. El Salvador e Honduras, in lizza per il calcio centroamericano, ruppero i rapporti e si dichiararono guerra: scoppiò un vero conflitto militare, con numerose vittime. El Salvador ottenne infine l'accesso alla fase finale dove, per la verità, la sua prestazione non parve giustificare l'accanimento dimostrato per partecipare: perse tutte e tre le partite, subendo nove gol senza segnarne nessuno.

Lo stadio Azteca era all'epoca il più bello del mondo. Centomila spettatori lo affollarono in festa, quando il Messico aprì il Mondiale nella partita con l'URSS che si concluse 0-0. Tutta la fase preliminare servì a liberare il torneo dalle squadre meno valide. Ai quarti di finale non c'erano più comprimari. L'Italia, che aveva cominciato senza grandi clamori (un solo gol nelle tre partite del girone), dovette affrontare la padrona di casa, come era già accaduto in Cile nel 1962. Questa volta però le cose si svolsero diversamente: l'Italia aveva una squadra molto più temprata, refrattaria alle provocazioni e all'ambiente, e piegò nettamente il Messico alla distanza. Fondamentale fu il ritorno di Rivera, che inizialmente era stato allontanato dalla squadra per aver pubblicamente contestato il capodelegazione Walter Mandelli. Rivera e Mazzola, i due simboli di Milan e Inter, erano in lizza per lo stesso ruolo. Valcareggi, saggiamente, decise di risolvere la questione inventando la 'staffetta': un tempo a testa, Mazzola all'inizio, quando c'era da combattere, Rivera dopo, a dare il colpo di grazia agli avversari provati dall'altezza. A 2000 m, infatti, il calcio atletico diventava relativo, imponendo ritmi bassi, congeniali ai giocatori tecnici. Per questo il Brasile dettava legge. Il 'quarto' più spettacolare fu quello che oppose Inghilterra e Germania Ovest, la rivincita della finalissima di quattro anni prima: l'Inghilterra, in vantaggio di due gol, decise di far riposare il suo 'asso' Bobby Charlton, perché fosse in perfetta forma per la semifinale. La Germania Ovest rimontò e vinse per 3-2 nei tempi supplementari. Cadde così una squadra inglese che era forse più forte di quella che aveva vinto il titolo sui prati di casa. Nella Germania Ovest furoreggiava un attaccante implacabile, un bomber sempre in grado di segnare, Gerd Müller.

Le semifinali rappresentarono un raffinato galà: ancora una rivincita, questa volta fra Brasile e Uruguay, le finaliste di Brasile 1950. Gli uruguayani, in vantaggio per 1-0, furono vicini a ripetere la beffa di allora, ma il Brasile rimontò e vinse 3-1. Dall'altra parte, in un Azteca assolato, l'Italia giocò contro la Germania Ovest e il punteggio rimase fermo sull'1-0 per gli azzurri sino ai minuti finali della partita. Al terzo minuto di recupero i tedeschi pareggiarono e si dovette ricorrere ai tempi supplementari. Müller portò in vantaggio i tedeschi e Burgnich rispose; Riva trascinò di nuovo avanti l'Italia e ancora una volta Müller rimediò. Sul 3-3, un magistrale tocco al volo di Rivera chiuse la partita, entrata nella leggenda del calcio.

21 giugno 1970, Estadio Azteca, Ciudad de México
Tri campeão
La finale vide l'Italia resistere al Brasile per un tempo e poi crollare sotto i colpi dei grandi rivali e sotto la stanchezza per quella semifinale lunghissima. Valcareggi non attuò la staffetta e Rivera entrò in campo soltanto a sei minuti dalla fine: in sostanza il maggiore protagonista di Italia-Germania Ovest rimase fermo ai box. In Italia divampò la rabbia e l'indignazione, sicché i reduci da quella grande impresa al loro ritorno in patria furono contestati e insultati, a eccezione di Rivera, che venne accolto trionfalmente.

Pelé, intanto, aveva vinto il suo terzo Mondiale, a dodici anni di distanza dal primo. Con il terzo titolo, il Brasile si aggiudicò in via definitiva la Coppa Rimet. Fu un verdetto onestissimo perché quella era una grande squadra, a trazione anteriore, con una prima linea formata da cinque giocatori che nei rispettivi club portavano tutti il numero dieci. L'altura aveva favorito il calcio danzato dei brasiliani, ma rispetto agli ultimi due Mondiali il livello tecnico di Messico 1970 si era decisamente elevato. Anche la media-gol, quasi tre a partita, era stata la migliore dopo quella del 1954.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)